Caravaggio: genio immortale
Marzo 28, 2020
Michelangelo Merisi da Caravaggio è uno degli artisti più conosciuti del panorama della pittura italiana del ‘600. Un vero spartiacque, un genio dal carattere tumultuoso. Tante le sue opere, molte le vicissitudini della sua vita. Uomo bravo con il pennello quanto con la spada. Ed è proprio la sua vita irrequieta che lo condusse a Napoli. La scelta del Merisi di trasferirsi a Napoli va ricercata prima di tutto nella necessità di sfuggire alla giustizia romana. Infatti a Roma fu condannato a morte per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni durante una partita di pallacorda. Ma scelse la città partenopea anche perché poteva contare sulla protezione della famiglia Colonna. Inoltre, probabilmente, era anche affascinato dalla popolosa e viva città che si prestava benissimo alla sua arte.
Proprio a Napoli gli fu data una prima committenza molto importante, un dipinto per il Pio Monte che doveva rappresentare le 7 opere di misericordia corporale di cui si occupavano i nobili. L’opera fu pagata 400 ducati, una cifra molto alta che ci fa capire che la fama aveva preceduto l’arrivo del maestro. Il grande dipinto fu consegnato il 9 gennaio del 1607 e cambiò per sempre l’arte partenopea.
Il quadro è ancora oggi situato sull’altare centrale della chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli, in via dei Tribunali e ancor oggi ci lascia senza fiato. Ammirarla fa bene all’anima e ogni volta si possono notare particolari che ci erano sfuggiti ad un primo frettoloso sguardo e possiamo emozionarci dinanzi ad una scena che sembra reale, una fotografia.
Caravaggio utilizzava modelli dal vivo che faceva posare per ore nei suoi laboratori in cerca dell’immagine più vera che potesse uscire fuori dalle persone,scelte dal popolo, in posa. Ne studiava ogni particolare anatomico, ogni posizione che potesse giocare con un effetto di luci ed ombre di cui ne era maestro e che permetteva allo spettatore di vedere ciò che il pittore voleva mostrarci.
La scena che ci troviamo davanti è affollata, in un vicolo qualsiasi di Napoli, caotico, scuro, brulicante di vita e di morte. In questa tela Merisi doveva realizzare tutte le sette opere di misericordia corporale in un unico spazio.
Proverò a entrare nel dettaglio di ognuno di esse.
Partendo dall’alto osserviamo la protagonista del quadro, la Madonna della Misericordia, in una posa del tutto nuova, non in piedi con le braccia aperte pronta ad accogliere i bisognosi, ma in volo, sorretta da angeli con vistose ali che occupano gran parte della scena. La Madonna ha in braccio il bambino ed entrambi hanno lo sguardo rivolto verso il basso, osservano il popolo, i personaggi. Possiamo soffermarci su un particolare, il braccio dell’angelo, muscoloso, in tensione e con la mano di un colore più scuro. Caravaggio osservava i suoi modelli per ore, fermi in posizioni non sempre comodissime, come ad esempio quest’angelo, posto in alto che si sorregge su un piano con la mano. E questa tensione, questa forza, questa pressione dei muscoli, il pittore decide di dipingerla per regalare un’immagine reale di quello che egli sta guardando e dipingendo in quel momento.
Guardando in basso possiamo esaminare i vari personaggi rappresentanti le diverse opere di misericordia.
Partendo da destra notiamo subito una delle immagini più commuoventi del dipinto: una donna che allatta un uomo anziano chiuso in carcere. Con quest’immagine si raccontano due opere di misericordia: “dar da mangiare gli affamati” e “visitare i carcerati”. L’uomo chiuso in carcere è Cimone, condannato a morire di fame ma salvato dalla figlia Pero. La donna, infatti, ebbe il permesso di andare a trovare l’anziano padre in carcere ma senza poter introdurre cibo. Pero aveva da poco partorito e, proprio con il latte materno, riuscì a salvare Cimone. Il racconto toccante è reso ancora più vero da un minuscolo particolare, le due gocce di latte sulla barba dell’anziano, il dettaglio reale, lirico e perfetto che Caravaggio ci regala in questa scena.
Alle spalle di Cimone si apre un’altra scena, di cui ne vediamo solo un piccolo frammento ovvero i piedi di un uomo morto, sorretto da un altro uomo immerso quasi totalmente dall’oscurità mentre un sacerdote, con la sua veste bianca, illumina con una torcia tutto il dipinto. Questa scena quasi nascosta, ci racconta l’opera di misericordia “seppellire i morti”
“Dar da bere agli assetati” è invece interpretata dall’uomo sulla sinistra, nella folla, con la pelle scura che beve identificata con la figura di Sansone mentre si disseta con l’acqua che fuoriesce dalla mascella d’asino. Grazie a questo gesto, infatti, Sansone riuscì a sopravvivere nel deserto.
Dinanzi a lui vediamo due uomini, un oste e un pellegrino, riconoscibile dalla conchiglia che ha sul cappello a tesa larga, simbolo iconografico dei pellegrini che utilizzavano grandi conchiglie, prese per lo più a Santiago da Campostela, per bere e mangiare. I due personaggi rapprendano “dare rifugio ai pellegrini”, ed infatti l’oste, sollevando il dito, sta indicando la strada verso un riparo sicuro al pellegrino che ne fa richiesta.
E per finire, osserviamo l’altro uomo accanto al pellegrino che volge il suo sguardo verso l’uomo di spalle seminudo a terra, vero punto focale dell’opera. L’uomo in piedi rappresenta San Martino di Tours che, come ci racconta la sua biografia, tagliò il suo mantello per offrirlo ad un bisognoso e, miracolosamente, dopo questo gesto, il suo mantello tornò integro, come se non fosse mai stato tagliato. Sulla sinistra dell’uomo di spalle, ignudo, si intravede un’altra figura riversa a terra, quasi impossibile da notare, un infermo. La scena quindi rappresenta due opere di misericordia insieme: “vestire gli ignudi” e “visitare gli infermi”. Ed è nel nudo di spalle che Caravaggio esprime tutta la sua arte. Noi non vediamo il suo viso, la luce ricopre solo una parte della sua schiena, ma anche di spalle riusciamo a percepire il dolore, la miseria, di quest’uomo.
Un’immagine avvolta in parte nelle tenebre, in parte rischiarata da quella fiaccola posta in maniera quasi centrale che non fa altro che ricordarci la grandezza e la maestria con il quale Caravaggio utilizzava l’effetto di luci ed ombre per mostrarci la sua realtà, il suo popolo e soprattutto la religiosità. Grazie al pittore ognuno poteva rivedersi in quei dipinti, riconoscersi nei volti semplici dei protagonisti dei testi sacri, essere una Madonna terrena, vera, reale, che sa ascoltare le paure e le sofferenze del mondo perche ne è parte integrante.
Ma questo dipinto è anche testimonianza di quanto il grande maestro fosse un precursore dei tempi, una sorta di fotografo del ‘600. Infatti, se aguzziamo la vista di fronte alla tela verso il piede dell’uomo di spalle, notiamo un particolare, un minuscolo dettaglio che ci fa comprendere il genio artistico. Sotto il piede dell’uomo si solleva una piccola nuvoletta di polvere. Probabilmente il modello, fermo in quella posizione per ore, ad un tratto perse l’equilibrio scivolando e facendo sollevare un po’ di polvere dal pavimento e Caravaggio, il genio, decide di intrappolare quell’istante, di rendere l’immagine ancora più reale, trasformando un dipinto il una fotografia immortale.
Dott.ssa Rita Laurenzano