La colpa di Psiche

La colpa di Psiche

Al centro dell’opera di Apuleio, Le Metamorfosi, esattamente nei libri IV, V e VI, si apre la favola più bella e famosa dell’antichità: Amore e Psiche.

La storia narra di una bellissima fanciulla il cui nome era Psiche, che in greco significa “anima”. Per la sua straordinaria bellezza il popolo è giunto a venerarla. Ciò comporta grandissima ira in Venere, dea della bellezza e degli amori, che decide di vendicarsi immediatamente per l’affronto subito da una donna mortale. Chiama così suo figlio Amore, che deve far innamorare la dolce Psiche dell’uomo più orrendo e malefico della terra. Amore però, vista Psiche, se ne innamora perdutamente, la porta con sé nel suo castello e la fa sua sposa, senza mai farsi vedere. La donna accetta questa situazione di mistero e inizialmente ubbidisce al marito rispettando la richiesta di lui di non cadere mai nella tentazione di conoscere la sua identità.

Ed è qui che si sviluppa il tema centrale della favola, la curiosità, concepita nel sistema dei valori greco-latino, come una forma di Hybris, ovvero di peccato, di tracotanza. Infatti Psiche cadrà vittima della sua innata curiosità e di notte, mentre il suo sposo misterioso dorme, prende una lanterna per guardarne il suo corpo. Quello che vede la lascia senza parole, si innamora ancora di più del suo meraviglioso marito, che adesso ha un volto e un corpo di innegabile bellezza. Amore però, colpito da una goccia di olio bollente della lanterna, si sveglia e capisce che la moglie gli ha disubbidito e va via, lasciando Psiche sola. Così la donna sarà costretta ad affrontare diverse peripezie scelte accuratamente da Venere, che intanto ha scoperto tutto ed è ancora più decisa a vendicarsi di Psiche. Nell’ultima prova che Psiche deve affrontare, ancora spinta dalla sua curiosità, apre il vaso di Proserpina e cade in un sonno mortale. Il lieto fine della favola è rappresentato dalla scena più conosciuta della storia: Amore, vedendo la sua donna morta, corre in suo soccorso e la sveglia con un bacio. I due finalmente potranno sposarsi ed essere ammessi nell’Olimpo, con la “benedizione” di Venere.

In questo mito, dove l’atto del vedere incarna uno dei momenti centrali delle vicende che lo caratterizzano, il discorso della rappresentazione artistica  si carica di significato.

Amore e Psiche, nel significato di unione dell’anima, appaiono per la prima volta nel Fedro di Platone ed è un tema molto diffuso sin dal III secolo a.C. i protagonisti vengono rappresentati come giovinetti alati. A questa tipologia si ricollega la scultura L’invenzione del bacio risalente al II sec. d.C custodito oggi ai Musei capitolini di Roma. In questa scultura, i due personaggi sono avvolti in un abbraccio tenero e romantico.

Anonimo romano, L’invenzione del bacio, II sec d.C.

Nella pittura pompeiana i due protagonisti sono rappresentati come giovani intenti al gioco. Nell’affresco Eros e Psiche proveniente dalla domus di Terenzio Neo a Pompei, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, databile intorno al I sec. d.C., Psiche è raffigurata con il dorso completamente scoperto e un panneggio che le cinge solo i fianchi avvolta nel dolce abbraccio di Eros che la bacia, sostenendola sulle sue ginocchia.

Anonimo, Eros e Psiche, I sec d.C.

È possibile ammirare un bassorilievo di Amore e Psiche nel Mitreo di Santa Maria di Capua Vetere, risalente, forse, al II sec. d.C. l’opera simboleggia l’amore mistico, caro alle rappresentazioni funerarie. Potrebbe evocare la purificazione e l’immortalità dell’anima illuminata e gestita da Amore nel suo viaggio verso l’Aldilà.

Anonimo, Amore e Psiche, II sec. d.C

Ma è il Cinquecento a sancire la fortuna della favola di Amore e Psiche nelle arti figurative. Ciò è testimoniato in particolar modo da due cicli di affreschi: quelli della Farnesina e del Palazzo Te.

Nel 1518 Raffaello Sanzio fu chiamato ad affrescare la loggia della villa suburbana del banchiere senese Agostino Chigi che chiamò il maestro in vista del suo matrimonio con Francesca Ordeasca, sua compagna da anni e madre dei suoi cinque figli. Il racconto di Raffaello resta però frammentario, limitandosi a rappresentare le scene del racconto avvenute in cielo. Tali scene servono al committente per proporre un modello ideale di comportamento ispirandosi ad immagini della letteratura del passato. In particolare la scena delle nozze celebra l’unione con la sua compagna Francesca e tende a sottolineare che, come nella favola, egli sposa una dama di rango inferiore, così come Amore, creatura divina, si innamora di Psiche, fanciulla mortale.

Raffaello Sanzio, Loggia di Psiche, 1518
Raffaello Sanzio, Banchetto nuziale, 1518.

L’idea di illustrare la favola di Apuleio fu ripresa da Giulio Romano, allievo di Raffaello, che dedicò a questo tema una delle sale principali a Palazzo Te a Mantova. Federico Gonzaga, il committente e proprietario del palazzo, aveva chiesto nel 1528 l’annullamento del suo matrimonio con Maria Paleologo di Monferrato, prendendo a pretesto la congiura tramata contro la sua fedele amante, Isabella Boschetti. Forse è proprio per quest’ultima che Federico fece costruire il meraviglioso Palazzo Te, da sempre intesa come dimora di delizie e di riposo. La decorazione della sala dedicata alla favola, trova il suo momento culminante nelle Nozze di Amore e Psiche  affrescate nel riquadro centrale e realizzate con grande abilità da creare uno spazio scenografico molto suggestivo. questa scena fu descritta con interesse anche da Giorgio Vasari che ne apprezzò soprattutto la prospettiva pittorica.

Giulio Romano, Sala di Psiche, 1526-28

A ridosso tra Settecento e Ottocento il tema di Psiche, tra prospettiva romantica e neoclassica, troverà ancora una volta modo di riaffermarsi nell’arte. E chi la rese immortale fu Canova.

Antonio Canova raffigura la coppia storica in due suggestive opere. La prima, Amore e Psiche stanti, oggi all’Ermitage, rappresenta una coppia di adolescenti in piedi: Cupido è nudo mentre Psiche indossa una gonna di stoffa leggera, attraverso la quale si intravedono le gambe snelle. La fanciulla gioca con una farfalla posta sul palmo della mano di Amore che intanto abbraccia la donna teneramente. I giovani hanno un volto simile e poco caratterizzato, l’espressione di entrambi è serena e distesa. La farfalla simboleggia l’anima che la ragazza cede al suo amato.

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1797

Ma sarà un’altra opera a decretare la grandezza dello scultore, Amore che sveglia Piche con un bacio, custodita al Louvre. L’artista rappresenta uno dei momenti peculiari della favola di Apuleio, il risveglio di Psiche dal sonno mortale. Ed è proprio l’abbraccio divino a ridare vita alla sua donna, a salvarla ancora una volta dalla colpa della sua curiosità. Canova riesce a far vibrare nel marmo il senso dualistico della storia: luci ed ombre, anima e corpo, divino e terreno, si sposano elegantemente in una delle opere scultoree più famose e celebrate al mondo.

Antonio Canova, Amore che sveglia Psiche con un bacio, 1793

Il tema verrà infine ripreso nell’Ottocento come nell’esempio di Pietro Tenerani che scolpisce due mirabili sculture raffiguranti Psiche, che gli offre anche la possibilità di cimentarsi nella rappresentazione della grazia giovanile.  Nella Psiche abbandonata l’artista realizza la donna nel momento in cui viene allontanata da Amore per aver trasgredito al suo divieto. La fanciulla ci appare dolce e nel più profondo stato di rassegnazione.

Pietro Tenerani, Psiche abbandonata, 1816-17

Il Tenerani scolpisce una seconda opera dedicata al tema, la Psiche svenuta. La scultura ritrae una fanciulla alata, nuda. Seduta su una roccia. Ha gli occhi chiusi e le ali simboleggiano la leggerezza dell’anima. Anche in questo caso l’artista sceglie di ritrarre solo la donna, nel momento successivo al peccato, sottolineando però l’innocenza del gesto.

pietro Tenerani, Psiche svenuta, 1822

La favola, sia nella sua rappresentazione letteraria che artistica, ci racconta del desiderio umano di conoscenza, meraviglioso e potenzialmente infinito, che da sempre ha suscitato riflessioni sul valore e sui limiti di tale facoltà.

Dott.ssa Rita Laurenzano

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