5 PRILE: SAN VINCENZO “ ‘O MUNACON”
Aprile 5, 2020
Oggi 5 aprile, si festeggia San Vincenzo Ferreri e a Napoli, in tempi non di quarantena, molta gente sarebbe accorsa nella meravigliosa chiesa barocca di Santa Maria della Sanità conosciuta da tutti proprio come la chiesa di San Vincenzo “ ’O Munacon!”
Ma chi era San Vincenzo? E perché è così noto a Napoli?
San Vincenzo nacque nel 1350 in Spagna e giovanissimo entrò nell’ordine domenicano studiando tra Barcellona, Lleida e Tolosa. La sua immagine fu estremamente importante durante lo scisma della chiesa poiché fu scelto come confessore del papa Benedetto XIII che nominò Vincenzo cardinale, nomina che egli rifiutò.
Schieratosi fin dall’inizio dalla parte del papato avignonese, nel 1398, durante l’assedio di Aviglnone da parte di Carlo VI di Francia, Vincenzo cadde gravemente malato. Egli stesso attribuì la sua repentina guarigione all’intercessione di Gesù e ai Santi Domenico e Francesco di Assisi. Da allora in poi decise di continuare la sua vita come predicatore attraverso l’Europa occidentale. Si immedesimò talmente tanto nella sua missione da autodefinirsi “Angelo dell’Apocalisse”. Fu un grande oratore dotato di immenso carisma. I suoi sermoni diventarono estremamente popolari. Nei suoi viaggi raccoglieva anche tutte le informazioni possibili sull’Anticristo che divenne oggetto delle sue predicazioni.
Morì il 5 Aprile del 1419 a Vannes, in Bretagna.
A Napoli è uno dei 51 compatroni della città, uno dei santi che, insieme al patrono San Gennaro, dall’alto protegge la città da ogni sciagura. È, in particolare, protettore del quartiere Sanità dove, nella chiesa della Sanità, è custodita una sua scultura in legno di manifattura napoletana, che viene portata in processione per ricordare soprattutto un evento legato alla sua immagine.
Nel 1836, durante l’epidemia di colera, i napoletani presero la statua e la portarono in processione per chiedergli la salvezza in uno dei tanti momenti difficili che il popolo ha dovuto affrontare.
Famosa, in suo onore, è la processione del “trase e jesce” durante la quale la statua, portata in spalla dalle associazioni cattoliche locali, viene fatta entrare e uscire 3 volte dal portone principale della chiesa.
Molte sono le opere d’arte a lui dedicate. In questo caso ne ho scelta una, forse non troppo famosa, ma a me particolarmente cara: la pala d’altare per la chiesa di San Pietro Martire a Napoli (oggi custodita a Capodimonte) di Colantonio.
Colantonio non è uno degli artisti più noti nello scenario della pittura napoletana, ma fu il Maestro di Antonello da Messina, artista che superò in notorietà il suo maestro napoletano.
Non ci sono giunte molte notizie sull’artista, la sua attività è ricostruita grazie alle informazioni fornite da Pietro Summonte in una lettera a Marcantonio Michiel del 1524. La formazione di Colantonio avvenne tra il 1438 e il 1442 nella cerchia di Renato d’Angiò ma anche con l’arrivo di Alfonso d’Aragona. In un periodo quindi a cavallo tra dominazione francese e spagnola. Le opere di Colantonio testimoniano la sua particolare capacità di rielaborare modi francesi e spagnoli per poi avvicinarsi a quelli fiamminghi, costruendo uno stile pittorico che sintetizza i diversi modelli e le variegate forme pittoriche. Testimonianza di ciò sono i dipinti per la chiesa di San Lorenzo Maggiore: la pala d’altare, oggi a Capodimonte, dove nella parte superiore si trova San Francesco che da la regola e in quella inferiore San Girolamo nello studio.
Le pieghe degli abiti dei francescani ricordano la maniera francese, in particolare il contatto con il Maestro di Aix, mentre, nello stesso dipinto, il pavimento a rubjelas valenzane ci racconta un avvicinamento ai modi pittorici spagnoli. Nella parte sottostante, la raffigurazione del San Girolamo nello studio, si può notare un avvicinamento alla tecnica fiamminga legata allo studio e alla raffigurazione spaziale e della cura dei dettagli.
L’ancona di San Vincenzo Ferreri è l’ultima opera del nostro pittore databile intorno al 1460. Forse fu commissionata, come ex voto, dalla regina Isabella Chiaromonte, moglie di Ferrante d’Aragona la quale fu fervente devota del santo domenicano canonizzato nel 1456.
Nella tavola centrale della pala, viene raffigurato il San Vincenzo con la mano benedicente all’interno di una nicchia semicircolare, mentre, nelle tavolette laterali, ci sono dipinti i vari miracoli compiuti dal santo e scene della sua vita.
Nella predella, ovvero la parte inferiore della pala divisa in vari riquadri, sono raffigurate La morte del santo, la Liberazione di un’indemoniata, e la committente dell’opera, la regina Isabella, che prega nella chiesa di san Pietro Martire.
Quest’opera fu realizzata nel periodo di estrema maturità artistica del pittore che cerca di unire lo spazio calcolato e la ricchezza di particolari di gusto indubbiamente fiammingo.
Grazie all’opera di un’artista rivalutato solo “recentemente”, possiamo comprendere che il culto di San Vincenzo è legato da sempre alla nostra città e da sempre egli veglia su di noi. Non mi resta che augurare a tutti i Vincenzo un buon onomastico e a tutti i lettori una buona Domenica delle palme
Dott.ssa Rita Laurenzano