Il mio Eduardo
Dicembre 13, 2020
Ho avuto un’infanzia meravigliosa. Piena di amore, di giochi, di allegria e di spensieratezza. Se ci penso ora, alla soglia dei 37 anni, tutto il mio passato di bambina sembra avvolto in una nuvola di zucchero filato, sento solo il rumore dei miei passi nella stanza dei giochi, le risate di mamma e il mobile bianco stracolmo di bambole e barbie che mio padre comprava per vedermi felice. Con mia sorella non ho mai giocato molto, lei non è mai stata la tipica bambina tutta giochi e risatine. Lei ha sempre amato leggere e studiare, ha sempre studiato, non le piacevano tutte le cose che di solito le bambine amano. Seppur estremamente diverse avevamo una passione in comune: le commedie di Eduardo d Filippo. Sono state il collante della mia famiglia, mio padre le amava e pian piano sono diventate una tradizione dei Laurenzano. Sono certa che né io né mia sorella Lysa da bambine capivamo il senso profondo del teatro edoardiano, ma parlavamo con le sue frasi e ancor oggi, abbiamo le nostre citazioni di rito, il nostro codice, che ogni volta, per un motivo o per un altro, esce fuori nelle cene in famiglia, nelle chiacchierate o nei semplici messaggi giornalieri. Un codice tutto nostro, che ci fa ridere mentre gli altri ci guardano con stupore. Perché non è da tutti ricordare le frasi a memoria di un testo che ormai, a qualcuno,può sembrare obsoleto. E ancora oggi le guardiamo quelle commedie, che parlano di un’umanità lontana, di una napoletanità diversa, elegante, tagliente, triste, ma ricca di valori, di realtà. Ed oggi, dopo ben 4 anni, ho rivisto una delle mie commedie preferite, anche se non ne ho una in particolare, le amo quasi tutte con la stessa intensità.
Volevo vedere il Sindaco del Rione sanità, ma aprendo la custodia del cd, dentro ho trovato Gli esami non finiscono mai (sono sempre stata estremamente disordinata, anche con le cose che amo di più). Mi è sembrato un po’ un segno del destino, ma questa è un’altra storia, e in questa “quarantena” civile ho deciso di rivederlo.
Negli ultimi anni del mio lavoro ho avuto modo di capire che i napoletani hanno amato sempre di più l’immagine di Totò, grandissimo maestro, ma meno quella del mitico Eduardo.
Sono certa che anche Totò abbia amato maggiormente i napoletani rispetto ad Eduardo. I due venivano da estrazioni sociali molto diverse, Eduardo era un figlio d’arte, una sorta di predestinato al palcoscenico, Totò si è mosso piano, con un’ironia popolare lontana dalla tagliente satira de filippiana (se così si può dire). Eppure in questa commedia, nel giro di 3 atti e di 2 ore, Eduardo racconta la vita di ognuno di noi, una vita qualunque.
Guglielmo Speranza, protagonista dell’opera, è un ragazzo qualunque, indubbiamente di buona famiglia, che si presenta al pubblico per “mettersi a nudo”, per raccontarsi nelle varie fasi della sua vita, con un unico costume di scena, un abito anonimo, grigio. Possiamo conoscere le varie fasi della sua esistenza solo con l’alternarsi delle barbe, nera, grigia e bianca, che, come un dipinto, raccontano la giovinezza, la maturità e la vecchiaia di un uomo. Guglielmo si è appena laureato, non è importante sapere in quale facoltà, potrebbe essere un medico, un ingegnere, un architetto, ha solo preso quello che tutti definiscono “ un pezzo di carta”, che lui ha sudato, come tutti noi, e del quale è fiero, come tutti noi. Ma deve scontrarsi con la vita, che è ben diversa da quella che ti consegna un titolo. Realtà descritta dal passato, ci troviamo negli anni ’70 del Novecento, ma ancora estremamente attuale. Dopo la laurea si presenta ai suoi futuri suoceri, che, con domande banali e imbarazzanti, lo sottopongono ad un esame scrupoloso di ogni aspetto della sua esistenza. A lui, che con quel benedetto pezzo di carta sperava che gli esami fossero finiti. La sua vita scorre limpida, si sposa, ha dei grandi riconoscimenti lavorativi, due figli. Ma, come il padre gli aveva detto, nella vita “incontrerai la rosa e la spina”. E La Spina è proprio il cognome del suo antagonista, mascherato da amico fraterno e compare di nozze che lo accompagnerà in tutta la sua “misera” vita, come una spina nel fianco. Ben presto verrà fuori il dolore, la delusione, le sconfitte che appartengono alla vita matrimoniale di Guglielmo, ma in realtà di tutte noi. Gli invidiosi, come il suo “caro amico” La Spina, vedranno nel suo successo solo la mano del suocero, uomo influente che lo ha aiutato, forse, nell’affermazione lavorativa. Arriveranno le delusioni di amore, i tradimenti, di carne e di amore.
E sarà proprio un grande amore a ridare il senso alle sue giornate. Nella sua vita entra Bonaria, una profumiera dei Miracoli, “un miracolo sopra i miracoli”, una figlia di una portiera e di un uomo di cui non si sa nulla. Perché la portiera, la madre di Bonaria, consegnava la posta, anche di notte, anche agli sconosciuti.
Quest’amore lo terrà in vita e lo accompagnerà sempre, anche una volta finito il rapporto passionale, perché la famiglia e sacra, e le storie clandestine restano tali, soprattutto se in città sei un personaggio importante, soprattutto se hai figli da crescere. Ci sono le responsabilità, il lavoro, la vita, che spesso non da spazio ai sentimenti. E così la vita di Guglielmo va avanti, sempre uguale, fino al giorno in cui capisce, apre gli occhi e vede. E quello che vede non gli piace, è troppo anche per lui e così decide di lasciarsi andare. Di lasciarsi andare, non di suicidarsi, ma semplicemente di vivere come un vegetale perché “di libri e di giornali si può morire”, perché è un uomo ridotto ad essere un coso, un attaccapanni, un candeliere!
La sua vita così finisce e finalmente Guglielmo è libero, libero di smettere di fingere, di preoccuparsi di qualcuno che non lo ricambia, di essere quello che vogliono gli altri. Ma un altro esame lo aspetterà, quello più importante, quello dell’aldilà. E così, truccato e vestito “come se dovesse andare ad una festa”, Guglielmo respira.
Avrò visto questa commedia 30 volte e ancora piango alla scena della preghiera che Guglielmo recita ai figli, ancora piango al saluto con Bonaria, alle lettere con scritto solo “coremio” tutto attaccato, ancora piango perché in qualche modo la vita di Guglielmo ad un tratto si è unita alla mia.. ma questa è un’altra storia e “ve la risparmio, non la capireste”!