Il sesso e gli antichi

Sappiamo che gli antichi romani vivevano il sesso senza troppi tabù. L’omosessualità era accettata, la prostituzione dilagante e tassata dallo stato e spesso si svolgevano spogliarelli per accendere la passione. Tutto ciò, però, poteva svolgersi solo nelle proprie abitazioni e nei “lupanari” perché le effusioni in pubblico erano reputate scandalose.

I lupanari erano i famosi bordelli dell’antichità. Il termine deriva da lupae, così come erano denominate le prostitute. Erano degli edifici con all’interno delle piccole celle dove le prostitute intrattenevano i clienti. Erano molto affollate e ricche di immagini erotiche, come possiamo vedere nel famoso lupanare di Pompei.

Il matrimonio nell’antichità non era proprio il regno della passione. La matrona, ovvero la moglie, aveva un potere molto forte come simbolo del focolare domestico, ma non era vista propriamente come compagna sessuale. Spesso le unioni erano combinate e il marito era un uomo maturo mentre la moglie una fanciulla che da poco aveva raggiunto la pubertà. L’adulterio agli uomini era concesso, alle donne assolutamente vietato e punibile con la morte.

Per gli uomini era vergognoso sposarsi senza conoscere le arti amatorie, per le donne invece valeva il contrario: dovevano essere caste ed erano sorvegliate quando si recavano fuori dalle loro abitazioni. L’uomo quindi, dopo aver trascorso il pomeriggio alle terme, andava al lupanare, magari accompagnato dal padre che incoraggiava il figlio a conoscere il sesso. Qui poteva scegliere la prostituta grazie anche ad un supporto visivo. Spesso, sulle celle, erano affrescate immagini erotiche molto esplicite in modo da far accendere gli spiriti, ma anche per poter vedere la posizione in cui la prostituta era “specializzata”.

Le donne che svolgevano questo lavoro non erano sempre schiave, ma anche donne libere, magari con problemi economici, ed era possibile trovare anche colte cortigiane. Prima di iniziare a lavorare, le prostitute si dovevano iscrivere in un apposito registro dove venivano indicati i propri dati e lo pseudonimo da professionista. Alcune donne si iscrivevano non tanto per lavorare nei lupanari, ma per proteggersi. Iscrivendosi nel registro potevano evitare il pericolo di essere accusate di adulterio e nascondere così una loro storia extraconiugale.

Per raggiungere i lupanari, sulle strade di Pompei, erano situati sulla pavimentazione o sulle mura dei grandi falli che indicavano la strada. Spesso i vicoletti o le celle erano illuminati da piccoli lucernari di forma fallica. Non dimentichiamo che il fallo era anche un simbolo propiziatorio legato a Priapo, dio della fertilità.

Tanti di questi oggetti, degli affreschi a tema erotico, di statue con figure in atto sessuale  sono custodite oggi al Museo Archeologico di Napoli nella sezione “segreta” e ci raccontano la sessualità libera che si viveva in epoca romana.

La sessualità era aperta così tanto da inventarsi diversi metodi contraccettivi. Oltre al tradizionale e rischioso “coito interrotto”, sappiamo che le donne utilizzavano dei tamponi impregnati di sostanze come miele, olio di oliva rancido. Oppure assumevano delle pozioni con diversi elementi sciolti nel vino, come solfato di rame o foglie di zucca. Gli uomini, invece, si spalmavano semi di canapa e unguenti particolari che si pensava potessero disattivare il liquido spermatico.

Insomma gli antichi romani sapevano godere delle gioie della vita!

Dott.ssa Rita Laurenzano

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