Kounellis: L’arte povera incontra Napoli

Jannis Kounellis, nato in Grecia nel 1936 e morto a Roma nel 2017, è stato uno degli esponenti dell’arte povera italiana. Infatti, a soli 20 anni, decide di abbandonare la sua terra natia per trasferirsi in Italia dove frequenta  alcuni corsi all’Accademia delle Belle Arti e inizia a guardare ad altri artisti, come Alberto Burri e Lucio Fontana, modelli di quella generazione. Vive nel fermento politico, culturale e sociale degli anni ’60 e ben presto lascia la pittura per dedicarsi all’utilizzo di materiali diversi, di oggetti usati, del fuoco.

Insieme a Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Giulio Paolini, Alighiero Boetti ed altri, si cimenta in questo nuovo tipo di arte, denominato Arte Povera, nel 1967 dal critico genovese Germano Celant. Questo movimento artistico appare strettamente collegato al movimento politico e culturale del ’66 con grandi radici sociali: la società produce, l’uomo consuma. L’arte povera è in aperta polemica con l’arte tradizionale, della quale rifiuta le tecniche, i supporti e ricorre all’utilizzo di materiali, appunto, poveri, come stracci, fango, legno, metalli, scarti industriali, terra. Le opere d’arte di questi artisti sono, spesso, delle istallazioni che dialogano con  gli ambienti circostanti e con la realtà che li ospita.

Kounellis sposa pienamente questo nuovo modello artistico e,infatti, nelle opere napoletane, racconta se stesso, ma anche la terra che lo ospita.

Più volte si è recato nella città partenopea, e tante sono le opere che possiamo ammirare tra i vari musei della città.

Nel 1989 Kounellis è chiamato ad interfacciarsi con Napoli, in particolare con il Museo di Capodimonte. Qui realizza  un’opera “Senza titolo” esposta inizialmente nel Salone Camuccini e poi spostata nel 1996 a terzo piano della reggia. L’artista dispone sul pavimento un gran numero di orci di fogge ed epoche diverse e colloca alle pareti lastre di ferro che reggono sacchi pieni di carbone e che concorrono a ridefinire lo spazio rendendolo ricco di rimandi evocativi. Quando gli orci  vennero spostati furono  svuotati, ma,  originariamente contenevano acqua del golfo e, in un vaso posto centralmente, 30 litri di sangue.

Sacchi e anfore, quindi. Oggetti che ci parlano della città legata al mare, alla storia passata, alle radici culturali greche-romane,  ai viaggi, al commercio marittimo, ma anche al sangue prodigioso come quello di San Gennaro o di Santa Patrizia, al sangue caldo che scorre nelle vene del popolo.

 Anche i sacchi pieni di carbone ricordano il movimento,i viaggi, il continuo spostarsi, gli scambi commerciali.

Senza titolo, 1989, Museo di Capodimonte

Ancora a Napoli il nostro artista è chiamato a far parte di un grande progetto di Lucio Amelio, importante gallerista, che, a seguito del terremoto del 23 Novembre del 1980 che distrugge parte della Campania e della Basilicata, decide di organizzare una mostra “Terrae Motus” con opere di artisti che interpretano il tema del terremoto continuo dell’anima. La mostra accoglie tanti degli artisti più conosciuti del momento, come Andy Warhol, Keith Haring, Mimmo Paladino e anche Jannis  Kounellis. Viene esposta per la prima volta a Boston nel 1983, poi a Villa Campolieto ad Ercolano, in seguito a Parigi e nel 1993 è stata donata alla Reggia di Caserta dove ancora oggi è custodita.

Per questa speciale mostra Kounellis realizza, nel 1992, un’opera “Senza titolo” composta da lastre di ferro di diverse dimensioni, disposte lungo la parete in modo asimmetrico. La differenza della grandezza delle diverse lastre testimonia lo sguardo al passato, all’arte tradizionale, alle diverse tele che i pittori utilizzavano per i loro capolavori.

Senza titolo, 1992, Terrae Motus, Reggia di Caserta

È del 1996 un progetto nuovo per il nostro artista: un’opera per Piazza del Plebiscito, fulcro della città di Napoli, museo urbano che, per un periodo, diventa un museo a cielo aperto. Per questo importante contesto, Kounellis realizza “L’offertorio”, un’istallazione composta da lastre di metallo dalle quali fuoriuscivano delle lingue di fuoco, create con fiamme alimentate a gas e 185 armadi vecchi sospesi in aria, nel loggiato della chiesa di San Francesco di Paola. Ancora una volta materiali poveri, vissuti, che raccontano il tempo passato, sospeso, caldo. L’arte si trasforma, l’opera si “stacca” allegoricamente dalla tela e va sul una lastra di ferro, sugli oggetti, come i mobili antichi, che hanno un loro passato, ma sono indirizzata, volano, fluttuano nell’aria, verso il futuro. La stessa materia, gli stessi oggetti diventano arte poiché hanno una storia, raccontano qualcosa. Così dialogano insieme passato e presenta nell’installazione con il suo contesto, ovvero la storica piazza. Passato e presente, arte e materia, antico e moderno, tradizione e innovazione, opera e maestro, le contrapposizioni sono innumerevoli così come le sfumature che contraddistinguono la città.

L’offertorio, 1996, Piazza del Plebiscito

Nel 2002 è chiamato a compiere l’opera che forse è più conosciuta in città, quella “Senza titolo” che si trova all’interno di una delle Stazioni dell’arte napoletana, precisamente nella Metro di Dante.

Qui decide di posizionare alle pareti lastre di putrelle, simili a frammenti di binari, nei quali ha incastonato scarpe vecchie, maschili e femminili, ma anche cappelli, cappotti e trenini giocattolo. La sua arte povera qui si trasforma in arte in divenire, in idea di viaggio, di passaggio, di routine, di vita quotidiana, che scorre veloce sui binari della Metro. Un’opera che dialoga perfettamente con il contesto in cui si trova, così come prevedeva il progetto di queste stazioni. Uomini e donne in un incessante fluire, pendolari e turisti, anime stanche e felici, curiose e assetate di conoscenza.  (Quest’istallazione è stata rinominata dai napoletani come “a scarpier”!)

Senza titolo, 2002, Stazione Metro Linea 1 Dante

Nel 2005 Kounellis sbarca al Madre, con la sua opera “Senza titolo” creata appositamente per il Museo. La sala a lui dedicata è attraversata  longitudinalmente da una grande struttura in ferro che lascia trasparire la luce da vetri colorati monocromi. Una sorta di versione contemporanea delle vetrate istoriate delle immense cattedrali gotiche. I colori utilizzati sono il rosso e giallo, i colori della città e del suo stemma.  Inoltre una grande ancora arrugginita, appoggia il suo peso, anche metaforico, sul pavimento, rimandando ancora una volta al ruolo storico di Napoli legato a doppio filo al mare.

Senza titolo, 2005, Museo Madre

L’artista, scomparso di recente, nel 2017, ha lasciato le sue opere e forse una parte del suo cuore a Napoli. Egli, andando via dalla Grecia, in una sorta di esilio, trova porto sicuro in Italia,e anche nel capoluogo campano, accogliente. Napoli e la Grecia hanno un passato comune, così come Kounellis ha qualcosa in comune con le sfaccettature della città. Con le sue opere racconta dei suoi mille modi di intendere l’arte e dei mille volti della nostra  terra.

Dott.ssa Rita Laurenzano