Per amore di Adriano
Aprile 15, 2020
La morte di Antinoo perseguitò l’imperatore Adriano fino alla fine dei suoi giorni. L’inconsapevole sensualità trapelante dal suo viso imberbe, le labbra pronunciate e i folti capelli a contornare lo sguardo malinconico ossessivamente replicato nei suoi svariati ritratti: peculiarità che fecero di quel giovinetto originario della Bitinia, un compagno fedele dell’imperatore fino alla sua inspiegabile scomparsa. Ritrovato annegato nelle acque del Nilo, Antinoo diventò l’ossessione di Adriano che sembrò amarlo più da morto che da vivo, sopprimendo quel dolore inespiabile attraverso l’ostinata diffusione di un lutto che in realtà non varco mai i confini della sua memoria.
Ma partiamo dalla fine, dal luogo in cui si spense non solo la vita di Adriano ma anche la traccia di quell’ultimo processo di creazione mistica che fu Antinoo. Catapultiamoci in un angolo di non ritorno dove la natura ha scatenato la sua fantasia, ha ispirato poeti e filosofi, forgiato miti ed eroi per poi richiamarli al suo impetuoso canto mortale. Il 10 luglio del 138 Adriano muore a Baia, nel Campi Flegrei, in quei siti virgiliani dove Ercole trovò riposo, Ulisse cercò il suo responso, Cesare costruì la sua dimora e Augusto avviò un vasto progetto di riqualificazione urbana, un territorio sorto tra due antichi crateri vulcanici e divenuto luogo di beata perdizione. Baia non fu mai una città romana a tutti gli effetti, non esistevano edifici pubblici, non fu mai costruito né un foro né una basilica, quasi a voler preservare intatta la sua nativa grecità, tanto cara ad Adriano, imperatore che nacque romano ma visse da greco. Innumerevoli sorgenti termali liberavano bollenti vapori; dal rovente sottosuolo acque sulfuree accuratamente dirottate, riempivano scenografiche fontane disposte su terrazze che davano sul mare. Vista dalla costa, Baia era un’incantevole oasi attrattiva, dove il sole rifrangeva sull’acqua i colori luccicanti dei mosaici che ornavano le lussuose ville d’ozio; NULLUS IN ORBE SINUS BAJIS PRAELUCET AMOENIS (nessuna insenatura al mondo supera in bellezza quella di Baia) [Orazio].
Adriano potenziò il complesso baiano con il “settore di Venere” costruito come dipendenza termale privata, distribuito su spazi disordinati che confluivano nella grande natatio di forma ottagonale, un tempo coperta da un’ardita cupola a ombrello e completamente decorata da scintillanti tasselli di vetro azzurri. Proprio in questo luogo salubre e lussureggiante si trovano ancora oggi tracce di quel fanciullo che, poco più che dodicenne, nel fiore della crescita modellò i suoi tratti assumendo, nella morte, le sembianze di un dio.
Un mosaico in tessere bianche e nere mostra al centro un ritratto di Antinoo, con la sua inconfondibile capigliatura a ciocche, lo sguardo malinconico e serioso e il capo circondato da un aureola di germogli di grano . Il giovane fanciullo è associato a Osiride vegetante, la divinità egizia che si ricongiunge alla terra per poi rinascere come dio della fertilità. L’accostamento non è casuale, Antinoo fu trovato annegato nelle acque del Nilo esattamente come Osiride, assassinato dal fratello Seth e tornato in vita grazie alla moglie e sorella Iside, diventando così sovrano dell’oltretomba dall’aspetto mummiforme. Sul luogo della tragedia Adriano fondò una città in memoria del suo inseparabile compagno, Antinopoli dove ne impose la venerazione e indisse dei giochi in suo onore istituendo, in quella che era la terra dei faraoni, un culto filo-ellenico di cui Antinoo ne incarnò il perfetto simbolo.
Innumerevoli le sculture commissionate per onorare il nuovo idolo, molte delle quali lo ritraggono esattamente come Osiride, dio della rinascita, in auspicio all’immortalità della sua anima. Uno degli esemplari più noti è quello ritrovato nel 1740 nei pressi dell’imponente residenza imperiale di Villa Adriana a Tivoli, un Antinoo-Osiride con in testa il nemes egizio, regale, nella classica posa ieratica dei faraoni, oggi conservato nei Musei Vaticani. E proprio come un faraone, il corpo del giovane bitinio fu imbalsamato secondo il culto egizio, svuotato delle viscere e pronto per i lenti processi di mummificazione «Quando lo lasciai, il corpo vuoto non era più che una preparazione anatomica, il primo stadio di un capolavoro atroce».
Ma Adriano si sarebbe davvero separato dal corpo del suo eromenos, inumandolo in quella terra così lontana? A Roma l’obelisco del Pincio, in granito rosa, è interamente attraversato da iscrizioni geroglifiche che raccontano proprio della morte di Antinoo, della creazione della città a lui intitolata e della sua apoteosi. Nella residenza di Tivoli sono stati scoperti i resti dell’Antinoion, un tempio fatto erigere per il culto di Antinoo-Osiride da cui proviene la stele egizia oggi al Pincio, suggerendo che probabilmente fu proprio in quel tempio privato che venne deposto il corpo di Antinoo. Il suo culto fu sincretico, il nuovo dio adrianeo rivestì anche i canoni occidentali di Dioniso, Hermes e persino di Apollo con lo scopo di incrementare la diffusione della sua idolatria, resa possibile da quella fase di transizione mistica che caratterizzò l’inizio del II secolo a cui fece seguito una condizione di irreversibile esclusività. «Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo»[Gustave Flaubert].
Ma se incerto è il luogo della sepoltura, ancora più misteriose risultano le modalità della morte del giovane e vigoroso protetto del’imperatore. Tornando alla decorazione musiva delle terme baiane, Antinoo è nuovamente rappresentato a figura intera, impubere, mentre corre avvolto da una fascia che termina con due cuori, simbolo d’amore, tenendo per mano una lepre. L’animale, sacro a Dioniso, è simbolo di rinascita, di fertilità e quindi di un incontrollabile risveglio sessuale associato proprio alla pubertà, alludendo non solo alla giovinezza di Antinoo ma, come racconta Ovidio, anche al pegno d’amore che erano soliti offrirsi gli amanti. Proprio la lepre, simbolo di sacrificio, sembra confermare la possibilità che non fu un omicidio ordito per invidia né un incidente casuale a uccidere un forte e vigoroso ragazzo di diciannove anni.
E se Antinoo, per amore, si fosse volutamente concesso ad un suicidio rituale? Adriano era cagionevole, colpito da anni da un male che gli procurava frequenti perdite di sangue dal naso e atroci sofferenze e stando ai responsi, non gli restavano molti anni da vivere. L’imperatore fu da sempre fortemente attratto dalla magia e, da grande appassionato del mondo ellenico, si legò ai culti eleusini fondati su misteriosi artefici e strane pratiche iniziatiche. Anche i cerimoniali egizi, diffusi a Roma attraverso la divinazione di Iside, dea che ridona la vita, garantivano la rinascita e la guarigione. Così, per prolungare la vita e la buona salute di Adriano era necessario sacrificare un adolescente alle acque del Nilo affinché la sua giovane vita assicurasse in cambio l’abbondanza delle acque e la fertilità della terra. Questo spiegherebbe la devozione di Antinoo che dona se stesso per la vita di Adriano e giustificherebbe ancora di più la ricerca ossessiva dell’imperatore a divinizzare un suo protetto al pari di un dio, senza neanche il consenso del senato romano. La terza immagine del mosaico a Baia mostra proprio una fonsperennis, un calice d’acqua zampillante, sulle cui anse poggiano due colombe che si fronteggiano, le anime di Adriano e Antinoo che presto si sarebbero ricongiunti nella vita eterna.
Certo, tanti furono i nemici interessati alla morte di Antinoo per la possibilità che l’imperatore avrebbe potuto adottarlo come suo successore non avendo avuto figli da Vibia Sabina, una donna che accompagnò Adriano in tanti suoi viaggi, che fu rivestita di titoli e onori ma che non riuscì mai a conquistarsi un posto nel cuore del princeps, annientata da quell’efebo puer, fino ad essere costretta a venerarlo come una divinità. Ma se non si trattò di un incidente, doloso o casuale, Adriano visse davvero oltre le più sconfortanti aspettative e l’apoteosi di Antinoo è da interpretare dunque come un atto dovuto di riconoscenza. L’opinione pubblica non condannò mai Adriano per il suo “vizio greco”, fu giudicato un uomo di valore ma non all’altezza del suo predecessore Traiano, anche lui noto per la predilezione verso i giovani maschi. Ciò che indusse al rischio di una dannatio memoriae non fu la presunta omosessualità dell’imperatore, tanto criticata anni dopo dallo spietato Giuliano, ma il vaneggiamento che portò probabilmente Antinoo al sacrificio oltre che quel malinconico rimpianto che svirilizzò l’imperatore agli occhi dei romani. La Lex scatinia era una legge che regolarizzava i rapporti omoerotici tra un uomo adulto e un giovane eromenos punendo lo stupro sui minorenni nati liberi e proibendo la sottomissione servile nel ruolo di pathicus assunta da un cittadino adulto. Nerone arrivò a sposare l’eunuco liberto Sporo per la sua somiglianza con la defunta moglie Poppea e nonostante l’imposta castrazione del giovane, Svetonio parlò di reciproca prostituzione, così come Cesare che più che i giovani adolescenti amò donne e uomini adulti. Ma Adriano anche nella sessualità perseguì quel modello di pederastica grecità ponendosi come l’amante (erastès) che inizia l’amato (eromenos) alle pratiche intime dell’amore.
La differenza d’età tra i due emerge anche dalle svariate sculture che ci restituiscono un’immagine di Adriano col volto coperto dalla barba, un espediente adottato per nascondere una cicatrice sul mento che si procurò in gioventù ma che divenne una vera e propria moda seguita anche dai successivi imperatori. La depositio barbae, il taglio della prima barba, era un rito di iniziazione verso la maturità, l’abbandono dell’adolescenza, che distingue la moda della tarda repubblicana e dei primi anni dell’impero. Nel busto conservato al Museo Archeologico di Napoli, Adriano ha dei tratti maturi, secondo un modello che riprende una statua ritrovata a Tivoli dove l’imperatore è ritratto a petto nudo, coperto dalla clamide con in mano una sfera a richiamare i suoi interessi astrologici. Le sembianze con Hermes alludono proprio alle vicende della morte di Antinoo e alla sua assimilazione a Hermes-Thort, dio egizio della luna, a cui fu consacrata Hermopolis, la città vicina al luogo in cui il giovane fu trovato in fin di vita. In un processo di catasterismo Antinoo fu anche associato alla costellazione dell’aquila, sostituendosi a Ganimede, il giovane coppiere degli dei rapito da Giove sotto sembianze di un enorme rapace per farne il suo amante segreto. «Una sera, Cabria mi chiamò per indicarmi una stella, nella costellazione dell’Aquila, che era stata appena visibile fino allora e che improvvisamente palpitava come una gemma, batteva come un cuore. Ne feci la sua stella, il suo segno». Quale fu dunque la colpa di Adriano? Non fu l’amore a biasimarlo ma le lacrime versate per la scomparsa di Antinoo che poco si addicevano al suo ruolo di comandante dell’impero, una disperazione troppo sdolcinata e imbarazzante, scandalosa, condannata dai suoi contemporanei; un’umana e incontrollabile debolezza emotiva che oggi invece avvicina Adriano alla sensibilità del mondo moderno.
Tutto gli fu perdonato: la diplomazia militare, la moderazione pacifista, il tentativo di ellenizzare l’occidente come fosse un uomo di lettere, i viaggi interminabili per sfamare un’egoistica voglia di conoscenza, il narcisistico bisogno di esibire il suo potere, l’indifferenza per un matrimonio infertile, i vizi dettati da un’onnivora lussuria, i capricci, le stragi … persino Antinoo. Ma le lacrime d’amore come fosse una donnetta, quello no. All’età di sessantadue anni, Publio Elio Traiano Adriano, poco prima di morire «Disse di aver visto di persona una stella, quella di Antinoo, e ascoltava con compiacimento i suoi cortigiani che gli raccontavano la leggenda della stella di Antinoo, nata dalla sua anima».
Dott. Fabio Trosa